31/08/99

Un amore

Film di Gianluca Maria Tavarelli.

Un film possono azzeccarlo in tanti, due di seguito è già più difficile, da tre in avanti si può salutare un nuovo autore.
Tavarelli con questo Un amore conferma la sua volontà autoriale, messa già in bella evidenza con il suo film d'esordio Portami via (1994). Questa volta correva il rischio di impantanarsi in un film carino, buon ultimo di una infausta serie nazionale. Ed invece il primo risultato di Tavarelli è stato proprio quello di riuscire a raccontare il sentimento forte dei protagonisti senza compiacimenti consolatori. Qui i due attori, sorretti da una sceneggiatura impeccabile, persino nei dettagli idiomatici di una certa Torino giovanile anni'80, danno un notevolissimo contributo alla riuscita complessiva: sommesso e vago lui, passionale e radicale lei. Dove forse l'equilibrio tende a spezzarsi è nel ripetersi dei siparietti di cinema d'animazione, per altro di ottimo disegno. Superato il piacere e la sorpresa iniziali, subentra un senso di fastidio per una ripetitività un poco fine a se stessa. Dettagli che non impediscono ad Un amore una piena riuscita, con una predilezione in più se si è quarantenni, torinesi e si è passata "una vita con il freno a mano tirato", come la torinesità più genuina richiede.

29/03/99

La vita è bella?

Ora che il Roberto nazionale ha stravinto tutto (a meno che gli accademici svedesi non intendano dare un successore a Dario Fo), sarà forse possibile fare qualche osservazione critica senza dover temere di passare per bastian contrario. Intanto continuo a pensare che morale e arte debbano stare separate. Parafrasando il Cavour: "libera morale in libera arte". Benigni è certo l'incarnazione contemporanea di Bertoldo e prosegue nella tradizione toscana della beffa. Detto questo va però osservato che il suo talento di regista è di molto inferiore a quello di comico. Inoltre come comico non raggiunge i registri drammatici di un Sordi o di Tognazzi e Gassman. Basti pensare a La grande Guerra o a Tutti a casa. Questi difetti impediscono a La vita è bella di essere un film pienamente riuscito. La prima parte è nelle corde di Benigni e di ogni italiano dotato di senso dell'umorismo. Anche se il fascismo da operetta è forse ormai un poco stucchevole. Ma avvicinarsi al nazismo ed al più orrendo dei suoi crimini, non è affare semplice. Benigni qui cede. L'incredibilità della stessa esistenza di un bambino in un reparto per uomini di un lager toglie ogni fondamento al gioco fiabesco. Poco male si dirà, si può sempre chiedere soccorso alla "poeticità" e alle relative licenze. Peccato che esista qualcosa che possiamo chiamare "storia del cinema". Insomma basta con questa presunzione nazionale, ed ora vedo anche "internazionale", di essere nati nel vuoto mnemonico. Ma insomma films come Kapo o i documentari sui campi di sterminio di Hitchcock non sono mai esistiti? E poi siamo sinceri, il grado di sofferenza che Benigni arriva a capire e rappresentare non arriva nemmeno a quello possibile nell'Italia attuale in qualche carcere di massima sicurezza. Risposta: che importa? Benigni non voleva fare un film drammatico. Già. Peccato che per esaltare i chiari ci vogliano gli scuri. Sordi e Gassman fanno piangere sul serio quando scelgono la fucilazione in La grande Guerra anche se hanno passato il film a far spanciare dalle risate. Ma oggi forse il germe buonista ha invaso le coscienze e mentre Benigni ci dipinge lager improbabili o Malick ci consegna soldati americani laureati in fiosofia, i "cattivi" sono liberi di bombardare Belgrado, alla faccia della vita e della sua bellezza.