25/10/01

Levinthal alla Galleria Marella


Il gioco dei bambini è un processo automatico di astrazione. Attraverso i giocattoli… i bambini rappresentano il dramma della vita, riducendone le dimensioni con la piccola camera oscura della loro mente
- Charles Baudelaire, in "A Philosophy of toys", The Painter of Modern Life and other Essay (London: Phaidon Press, 1964)

Per entrare meglio nello spirito dell'operazione di Levinthal, oltre alla citazione che lo apre ritengo interessante estrapolare questo passaggio dal comunicato stampa:

Levinthal inizia nel 1972 fotografando soldatini tedeschi; egli costruisce elaborati set in miniatura con soldatini di plastica ed un assortimento di modellini di costruzioni e veicoli. Successivamente affina sempre più il suo processo creativo esplorando le varie possibilità del mezzo fotografico; giunge così alla scelta dell'utilizzo della Polaroid nel suo massimo formato di stampa, ovvero 20x24 inches (51x61 cm circa). Tale tecnica gli permette di avere un solo e prezioso lavoro "unico" (differenziando ulteriormente il lavoro, poiché nel panorama contemporaneo fotografia è sinonimo di riproducibilità seriale).

In galleria oltre alle Polaroid di Barbie, sono esposte quelle di altre serie: i cowboy in miniatura di The Wild West, 1987-89; il lavoro sul razzismo di Blackface, 1995-96 e la pornografia come specchio della sessualità della società di XXX, 1999-2000.

Per inclinazione personale, basti pensare alle mie serie fotografiche, sono rimasto colpito dalle Barbie giganti, coloratissime e tiranniche deità feticiste, e dalle immagini sessuali della serie XXX, inquieto specchio di mondi interiori che agitano la labile realtà quotidiana.

Levinthal parrebbe introdurre la dimensione del gioco come strada maestra, o forse come l'unica ancora possibile, per ritrovare parti di sé sperdute nei meandri e nei vicoli ciechi della psiche. Forse lungo simili vie il ritrovamento non avverrà mai, ma il viaggio stesso sarà ricompensa sufficiente per chi vorrà compierlo.

(vista il 25 ottobre 2001)


DAVID LEVINTHAL
WHY DO YOU PLAY WITH TOYS?
26 settembre - 27 ottobre 2001
MILANO Marella Arte Contemporanea




20/10/01

Form Follow Fiction

Amy Adler, Ace, 1997. (courtesy Castello di Rivoli)

Il titolo di questa mostra, curata da Jeffrey Deitch, è una parafrasi, peraltro già usata in passato da altri in Francia, del motto modernista Form follows function. Al di là del gioco di parole, l'attuale rassegna prosegue idealmente Post Human, che Deitch curò per il Castello di Rivoli nel 1992.

La scelta dei ventuno artisti invitati ad esporre nella Manica lunga, è tesa ad evidenziare il filone di ricerca che il curatore ritiene trainante nell'ultimo decennio: gli interventi sul confine tra la realtà e la sua rappresentazione.

Le opere chiamate a sostenere la tesi critica di fondo sono in gran parte di forte impatto visivo.

Amy Adler ridisegna la figura umana di sue fotografie personali scattate anni prima, ottenendo un effetto straniante e coinvolgente al tempo stesso. Vanessa Beecroft, stella ormai fissa della costellazione artistica internazionale, propone il suo sadismo freddo con due imponenti gigantografie delle arcinote donne feticcio ed un video nel quale si può goderne i tremolii dovuti alla posizione cui sono costrette. Gregory Crewdson entra negli incubi gotici sepolti sotto il quotidiano americano della banale middle-class con stampe Ilfochrome (127 x 152 cm) visionarie e perfette dal nitore iperrealistico straordinario. Non meno potenti sono le icone degli artisti figurativi come Kurt Kauper, con le sue fiamminghe dive inventate o Margherita Manzelli, che usa anch'essa i colori ad olio con antica maestria per proporre donne deformate ed inquietanti.

Decisamente meno convincente è l'edulcorato mondo tecnomistico delle gigantografie di Mariko Mori. Tra l'altro, questa del gigantismo è ormai una costante dispendiosa e stucchevole che esalta, a volte, soluzioni non così efficaci se viste in dimensioni ridotte. Eccezionale invece la riuscita della sexy eroina robotronica e trasformista di Takashi Murakami esposta in tre modelli a grandezza naturale.

Tra le restanti opere, alcune ricorrono al linguaggio dell'installazione video, come la ricostruzione di Pierre Huyghe, condotta dell'invecchiato protagonista, della rapina del 1972 che ispirò il noto film "Quel pomeriggio di un giorno da cani", interpretato da Al Pacino.

Nell'insieme Form Follow Fiction è un'operazione riuscita e decisamente godibile. Farà discutere senz'altro il criterio seguito dal curatore, soprattutto nelle d'altronde inevitabili esclusioni.

L'unica mia riserva è sull'assunto che la impronta. In fondo, quando mai è esistita una qualsiasi forma d'arte che non fosse allo stesso tempo anche finzione?

(vista il 28 ottobre 2001)


FORM FOLLOW FICTION
17 ottobre 2001 - 27 gennaio 2002
Castello di Rivoli


Kazumasa alla Galleria Cà di Frà

Kazumasa, Senza titolo, 2001. (courtesy Cà di Frà)


Colori puri, forti e luminosi. Forme potentemente archetipiche.

La poesia plastica e cromatica di Kazumasa risiede nella felice sintesi di concezioni occidentali ed essenzialità orientali. In tempi come questi, non può che rassicurare il vedere quanto sia fertile l'incontro tra culture così lontane.

Claudio Composti scrive nella presentazione:
Nella cultura orientale, dietro semplici gesti o quotidiane azioni, si celano antiche regole di esecuzione. Secondo la filosofia Zen, un gesto non è mai "solo" un gesto: fare un tè, tagliare il pesce, richiedono nozione di tempi e movimenti ben precisi, l'arte di disporre i fiori (Ikebana) non è un semplice ornamento della casa, così come la disposizione dei mobili della casa (feng-shui) ed i colori convogliano ed assecondano, se disposti ed usati nel modo corretto, le energie positive. (...)

Partendo da una tradizione così ricca e normatrice, Kazumasa approda al pensiero occidentale, alimentato da visioni e dubbi. Le sue terracotte colorate, i suoi piccoli uomini blu, i pannelli fioriti ed il grande, lieve, quasi sospeso in un'altra dimensione gravitazionale, uomo giallo esposti a Cà di Frà ci interrogano con muta insistenza sul nostro essere qui e ora.

Grazie a Kazumasa, la visita ad una galleria d'arte contemporanea, nata all'interno di un cortile della vecchia Milano d'antan, diventa preziosa occasione di meditazione.

(vista il 25 ottobre 2001)



KAZUMASA
Dal 25 ottobre 2001
Galleria Cà di Frà, MILANO


18/10/01

Artissima 2001

Jean-Pierre Khazem, Volume II, 2001. (courtesy Emmanuel Perrotin, Paris)

Torino Esposizioni
15 - 18 Novembre 2001

L'ultimo cambiamento di sede, dal Palazzo del Lavoro al Torino Esposizioni ha portato fortuna a questa edizione di Artissima.
Successo pieno di pubblico e di presenze espositive. Un decollo già scritto nei numeri: 154 le gallerie presenti, delle quali solo 72 italiane, con interessanti arrivi anche dal Giappone (2) e dall'Australia (1).

La novità più concreta è stato il decollo degli affari, con vendite finalmente in crescita. Sul fronte strettamente artistico si rileva un ulteriore aumento della già massiccia presenza di stampe fotografiche vista nell'edizione precedente. Le tecniche e le finalità sono le più differenti, ma probabilmente la soglia di saturazione è stata raggiunta ed è facile prevedere un prossimo spostamento dell'attenzione degli artisti verso altri mezzi, non esclusi quelli pittorici tradizionali.

Nell'ambito fotografico, aumentano le stampe rigorosamente sovraesposte, secondo l'involontaria moda lanciata poco prima della morte da Luigi Ghirri e portata avanti da autori a lui vicini come Olivo Barbieri o Vitali. Le dimensioni sono sempre più gigantesche, grazie anche alle tecniche di stampa digitale su carta fotografica, sul tipo della Lambda di Durst, ormai giunte ad un alto grado di efficacia. Abbondano anche le riprese "asettiche" di biblioteche e spazi pubblici vari, secondo l'altra moda del momento, lanciata questa volta dagli autori tedeschi con il loro gelido e nitidissimo rigore descrittivo. Di conseguenza trionfa l'uso di fotocamere di grande formato, spesso banchi ottici 20x25.

Tra le tantissime opere presenti, si segnalano in particolare quelle dedicate al confine ambiguo tra realismo e finzione, in sintonia con la tendenza esposta in questi giorni al Castello di Rivoli.

In ultimo un appunto organizzativo.
Nonostante i fatti paiano smentirmi, ritengo che la coincidenza di date tra due importanti manifestazioni come Artissima e Torino Film Festival, non sia un'idea felice. I pubblici sono diversi, ma si sciupa l'occasione di coprire meglio questo periodo autunnale, sfruttando anche più razionalmente l'accoglienza turistica cittadina.

(vista il 16 e 18 ottobre 2001)


13/10/01

Barberi alla Libreria Agorà


Esiste, da qualche parte negli States, un luogo non luogo nel quale pagando un po' di dollari è possibile togliersi di dosso per qualche giorno i panni di una vita normalizzata e lasciarsi andare alle proprie inclinazioni e fantasie identitarie più sfrenate.

Burning Man è il nome con cui questo deserto, in tutti i sensi, è conosciuto. Gli appassionati lo chiamano affettuosamente con il solo acronimo: BM.

In un tale contesto si è calato il fotografo Enrico Barberi che ha avuto il non piccolo merito di evitare un facilissimo reportage urlacchiato sul folklore esibito. Le sue immagini, dai colori attenuati, sono molto curate, nitide e luminose. Il racconto è chiaro, anche se a volte un poco troppo aneddotico, e raggiunge la migliore riuscita nei ritratti in posa accompagnati da una breve dichiarazione pronunciata nell'occasione dai soggetti.

(vista il 13 ottobre 2001)


Burning Man
Fotografie di Enrico Barberi
19 settembre - 27 ottobre 2001
Libreria Agorà
Torino

06/10/01

De Blasi e Moscara ala Galleria Nicola


Il lavoro di De Blasi e Moscara mette in movimento esperienze simboliche primarie. Entrambi pugliesi, residenti a Lecce, e compenetrati nello spirito dei loro luoghi, creano azioni che noi possiamo conoscere solo attraverso la documentazione fotografica curata dagli artisti stessi.

Augusto Pieroni, presentandoli, mette in risalto la loro attività, inserendoli sulla falsariga di quelle "fototensioni", da lui brillantemente individuate nel suo libro omonimo.

In galleria viene presentata un'azione recente, intitolata MATTHRA, e realizzata all'interno di una nuda stanza con il pavimento ricoperto da uno strato di terriccio.
Un ambiente simile è stato installato anche in galleria, cosa quest'ultima che dà modo al visitatore di mettere letteralmente "piede" nel teatro dell'operazione artistica, all'origine delle stampe fotografiche di grandi dimensioni esposte.

Pur riconoscendone il valore simbolico, questo progetto di invasione ambientale risente, a mio avviso, della mancanza di quelle geometrie, luci e colori che caratterizzano gran parte della produzione di De Blasi e Moscara.

Anche se si assegna alla fotografia un ruolo puramente documentario, i valori formali, pur sempre in gioco in ogni tipo di immagine, sono tutt'altro che secondari nella percezione della riuscita o meno di un progetto, per quanto concettuale esso sia.
 
(vista il 6 ottobre 2001)


DE BLASI e MOSCARA
MATTHRA
27 settembre - 31 ottobre 2001
Antonella Nicola TORINO